
Apriamo le nostre Bibbie e guardiamo insieme al capitolo 7 di Romani. Capitolo 7 di Romani. Voglio leggere, come introduzione al nostro messaggio, dal versetto 14 fino al versetto 25. Romani capitolo 7, a partire dal versetto 14, “Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto sotto il peccato. Poiché quello che faccio, non lo capisco: perché non faccio quello che vorrei, ma faccio quello che odio. Se dunque faccio quello che non vorrei, riconosco che la legge è buona. Ora dunque non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. So infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene: il volere è presente in me, ma come compiere il bene non lo trovo. Poiché il bene che vorrei, non lo faccio; ma il male che non vorrei, quello faccio. Ora, se faccio quello che non vorrei, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Scopro dunque questa legge: quando voglio fare il bene, il male è presente in me. Infatti, io mi compiaccio della legge di Dio secondo l’uomo interiore; ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Misero me, uomo infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Ringrazio Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Così dunque, con la mente io stesso servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato”.
Questa è una descrizione toccante di qualcuno in conflitto con se stesso, qualcuno che ama la legge morale di Dio, qualcuno che, nel profondo del suo essere interiore, vuole obbedire alla legge morale di Dio, ma è trascinato e spinto lontano dal suo adempimento dal peccato, il peccato che si trova in lui. È l’esperienza personale di un’anima in conflitto. È una battaglia. È una guerra che infuria nel cuore. Il conflitto è molto reale. È molto intenso. È molto forte. Di questo non c’è dubbio.
Si riassume nel versetto 25 – nel versetto 24 – “Misero me, uomo infelice!” C’è una miseria in questa battaglia. C’è una miseria in questo conflitto. E poi il grido: “Chi mi libererà?” E poi l’affermazione: “Ringrazio Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore”, però pur sapendolo, conclude: “Così dunque, con la mente io stesso servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato”, ora, alcune persone dicono che qui viene descritto un cristiano. Ed altre dicono che qui viene descritto un non cristiano. E la gente dice queste due cose sin da quando è stato scritto Romani 7. Interi movimenti hanno basato la loro stessa esistenza sull’interpretazione di Romani 7. Un lato dice che c’è troppa schiavitù al peccato per esser un cristiano. L’altro dice che c’è troppo desiderio di bene per essere un non cristiano, non si può essere cristiani ed essere legati al peccato, e non si può essere non cristiani e desiderare di osservare la legge di Dio, e questo è il conflitto nell’interpretazione del passo.
Parliamo per un momento della posizione del non cristiano. E probabilmente ci vorranno un paio di settimane per farlo, quindi saremo pazienti. Non solo per parlare delle due posizione, ma per attraversare l’intero passo. La posizione del non cristiano. Ora, le persone che vogliono farci credere che qui si stia parlando di un non cristiano dicono che il versetto 14 è la chiave. “Io sono carnale, venduto sotto il peccato”, e così, essi direbbero che questo deve essere un incredulo. E poi il versetto 18: “Infatti io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene: perché il volere è presente in me, ma come compiere il bene non lo trovo”. E dicono che questo deve essere un non cristiano, perché una persona che è cristiana sa come fare ciò che è buono. Dov’è l’evidenza della potenza dello Spirito Santo qui? E così mettono in dubbio l’ovvia ignoranza della persona nel versetto 18, che non è in grado di capire come ottenere i risultati che desidera: colui che è in Cristo potrebbe esser così impotente?
E poi ancora il versetto 24: “Oh misero me, uomo infelice!” sembra piuttosto lontano dalla promessa di Romani 5:1, “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, per il quale abbiamo anche avuto, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi, e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio”, e poi continua parlando del fatto che non solo abbiamo la speranza e la gioia, ma tutti i benefici, come può quest’uomo essere così infelice con così tanti benefici? Come può essere carnale, venduto al peccato, quando Romani 6:14 dice: “Il peccato non avrà più potere su di voi”?
E poi invariabilmente entrano nel capitolo 6 in dettaglio. Ad esempio, capitolo 6 versetto 2: “Noi che siamo morti al peccato, come vivremo ancora in esso?” Versetto 6: “Sappiamo bene che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato, e noi non serviamo più al peccato”, versetto 7: “Colui che è morto, infatti, è libero dal peccato”. Versetto 11: “Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù”. Versetto 12: “Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale”. Versetto 17: “Ma sia ringraziato Dio: voi eravate schiavi del peccato, ma avete ubbidito di cuore a quella forma di insegnamento che vi è stata trasmessa”, versetto 18: “Essendo stati liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia”, versetto 22: “Ora invece, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la santificazione e per fine la vita eterna”.
Ora, con tutto questo nel capitolo 6, come si può dire che capitolo 7 verso 14 “Io sono carnale, venduto sotto il peccato” si riferisca ad un cristiano? Ora, capite il problema? Ora, noi affronteremo ognuna di queste questioni mentre percorriamo il passo, ma qui lasciate che dica in riferimento generale al capitolo 6 che l’enfasi del capitolo 6 è sulla nuova creazione, la nuova natura, la nuova identità, la nuova persona in Cristo, l’ “io” redento. L’enfasi, quindi, è sulla santità del credente. E nella sua nuova creazione, e nel suo “io” redento, ha spezzato il dominio del peccato.
L’enfasi nel capitolo 7 non deve necessariamente esser la stessa del capitolo 6. Ed ogni cristiano sa che, anche se è una nuova creatura in Cristo, e il dominio del peccato è spezzato, e il peccato non ha più potere su di lui, il peccato rimane comunque un problema. E quindi, che tu voglia o meno vedere un cristiano nel capitolo 7, devi comunque vedere un cristiano in conflitto con il peccato, anche se la sua nuova creazione, il suo nuovo io, è santo. Ed è per questo che è così importante comprendere ciò che abbiamo insegnato nel capitolo 6, cioè che ciò che è stato ricreato è il nuovo “io”. E quel nuovo io redento è santo. Ma il conflitto rimarrà comunque, e che tu veda o meno quel conflitto nel capitolo 7, esiste comunque un conflitto, e vorrei aggiungere che è evidenziato persino nel capitolo 6. Osserva il versetto 12 del capitolo 6: “Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidirgli nelle sue concupiscenze”.
Aspetta un momento. Hai appena detto che siamo morti al peccato, hai appena detto che il corpo del peccato – versetto 6 – è stato distrutto e che non dovremo più servire il peccato. Allora perché nel versetto 12 ci viene comandato di non lasciarlo regnare? Vedete, c’è lo stesso problema nel capitolo 6. Devi ancora affrontare il problema del credente e del peccato. E in tutto ciò che Paolo ha detto nel capitolo 6 sulla nostra nuova natura, sulla nostra nuova creazione e sulla nostra nuova essenza, non ha mai detto che da quel momento in poi non avremmo più avuto una battaglia con il peccato. Il versetto 12 implica che il peccato potrebbe ancora avere un posto dominante. Potrebbe ancora gridare ordini ai quali ci sottomettiamo. Potremmo ancora obbedire al peccato. Proseguiamo con il versetto 13: “E non prestate le vostre membra come strumenti di iniquità al peccato”, il che significa che potremmo farlo. E quindi dobbiamo essere comandati di non farlo.
Dunque, da un lato, il problema nel capitolo 7 è lo stesso problema del capitolo 6, perché hai tutte quelle affermazioni su come sei morto al peccato, sei morto al peccato, il peccato non ha dominio su di te, il tuo servizio al peccato è spezzato, ora sei servo di Dio e sei libero dal peccato, sei libero dal peccato. Allo stesso tempo, hai i comandi di non lasciare che il peccato dimori su di te. Quindi, non ci sono problemi nell’interpretazione del capitolo 7 che non si trovino anche nell’interpretazione del capitolo 6.
Guardate al versetto 19 del capitolo 6: “Io parlo alla maniera degli uomini, a motivo della debolezza della vostra carne”, ricordate quello che abbiamo detto su questo? Quando pecchi, non è il nuovo te stesso. Cos’è allora? È la tua carne, la tua natura umana. E così dice: “Vi parlo in questi termini perché la vostra carne è ancora presente, poiché come avete prestato le vostre membra al servizio dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così ora prestate le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione”, e di nuovo, l’implicazione è che potresti ancora prestare le tue membra al peccato. Potresti ancora prestare le tue membra al peccato.
Quindi, sostenere che il capitolo 7 non può riferirsi ad un cristiano a causa delle affermazioni contenute nel capitolo 6 significa in realtà fraintendere l’intenzione del capitolo 6. E penso che sia un argomento piuttosto debole. Ora guardiamo ai versetti che vanno dal 14 al 25 del capitolo 7, considerandoli come se stessero parlando di un cristiano. Versetto 22: “Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore”, questa è un’affermazione molto forte, non è vero? “Mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore”.
Dall’altro lato, ci poniamo la domanda: un incredulo può compiacersi nella legge di Dio, secondo l’uomo interiore? Non troviamo un’indicazione del genere nella Scrittura. Infatti, in Romani 8:7, nella parte centrale del versetto, dice che la persona non rigenerata “non è sottomessa alla legge di Dio”. Non è sottomessa alla legge di Dio. Guardate al versetto 25: “Ringrazio Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Così dunque, con la mente io stesso servo la legge di Dio”, questo mi sembra proprio un cristiano no? Per due motivi: ringraziare Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, e servire la legge di Dio con la sua mente. È un servizio del cuore. È il servizio della parte più profonda dell’uomo. E vi ricordo ciò che è scritto nel capitolo 8: colui che è separato da Cristo non può essere sottomesso alla legge di Dio.
Ora tornate indietro al versetto 15: “Poiché quello che faccio, non lo capisco; perché non faccio quello che vorrei, ma faccio quello che odio”, sapete cosa significa? Per me significa che c’è una battaglia qui, perché la parte più profonda e vera di questo individuo vuole fare ciò che è giusto, ma qualcosa gli impedisce di farlo. È vero per un non salvato? Che desiderino veramente fare ciò che è giusto ma siano inspiegabilmente impediti dal farlo? Non secondo Geremia, che disse: “Il cuore dell’uomo è ingannevole più di ogni altra cosa e disperatamente malvagio”.
Guardate al versetto 18: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene: perché il volere è presente in me, ma come compiere il bene, non lo trovo”. E ancora, è la stessa idea. Qualcosa dentro di me vuole fare ciò che è giusto. Ce l’hai nel versetto 19: “Poiché il bene che vorrei, non lo faccio; ma il male che non vorrei, quello faccio”, ce l’hai nel versetto 21: “Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è presente in me”. Così il cuore, l’anima e la mente, nel profondo dell’individuo, desiderano fare ciò che è giusto. L’inclinazione è verso il bene. Ma c’è un principio malvagio che rende il tutto non così facilmente realizzabile.
Chiunque sia questa persona – afferrate bene questo concetto – desidera fare cose buone e si ritrova a fare cosa? Cose cattive. Per quanto posso leggere in Romani, capitolo 3, la persona empia non ha alcun desiderio di fare la volontà di Dio, “Non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno”. In Romani 3, Paolo dice che tutto in loro è cattivo, tutto. “Non c’è nessuno che capisca. Non c’è nessuno che cerchi Dio”. Versetto 11. Nessuno cerca i propositi di Dio, la volontà santa di Dio, la legge morale santa di Dio, “Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi”, non hanno alcun rispetto per Lui né per la Sua legge.
Il conflitto qui, la tensione, la battaglia tra ciò che Paolo dice: “Mi diletto, amo, approvo, voglio, desidero fare” e ciò che effettivamente compie, credo possa essere vero solo in una persona redenta. Non credo davvero che in una persona non rigenerata, una persona non redenta, una persona non salvata, ci sia un grande conflitto. Voglio dire, non crediamo nemmeno per un momento che le persone senza Dio siano fondamentalmente brave che semplicemente non riescono a farcela. Crediamo che siano davvero persone malvagie che manifestano il male che è dentro di loro.
Ora sorge un’altra domanda a questo punto. E questa è stata una disputa altrettanto accesa. D’accordo, diciamo che si tratti di un cristiano, solo per rendere felice MacArthur, diciamo che si tratti di un cristiano. Che tipo di cristiano è? Alcune persone dicono che è la descrizione di un cristiano a un livello molto basso di spiritualità. Voglio dire, quest’uomo non ha nemmeno capito cosa stia succedendo. Sta cercando con le proprie forze di osservare la legge. Un autore disse che questa è la miseria totale del fallimento di un cristiano che tenta di piacere a Dio sotto il sistema mosaico, una sorta di cristiano super–legalista che cerca di produrre la propria giustizia e non è in grado di farlo nella propria carne.
Allora, è un cristiano legalista? È un cristiano auto–giustificato a un livello spirituale molto basso? Francamente, non lo penso. E il motivo per cui non lo penso è che quei tipi di cristiani di solito non hanno questo tipo di percezione. Se impari qualcosa su un legalista, imparerai sempre che vive nell’illusione di essere molto, molto spirituali. Nemmeno per un minuto pensano di essere in questa condizione. Sai che tipo di cristiano è questo? Amico mio, questo è il cristiano più maturo e spirituale che possa mai esistere, che vede così chiaramente l’incapacità della sua carne di fronte alla santità dello standard divino, capite? E più è maturo, e più è spirituale, maggiore sarà la sua sensibilità nei confronti delle proprie mancanze. Mostrami un cristiano infantile, “carnale”, mondano, legalista, auto–giustificato, e ti mostrerò qualcuno che vive nell’illusione che tutto ciò che sta facendo sia veramente molto spirituale. Mostrami una persona con questo tipo di rottura interiore, mostrami una persona che agonizza nelle profondità della propria anima perché non riesce a fare tutto ciò che è scritto nella legge di Dio, e ti mostrerò una persona spirituale.
E quindi, credo che quello che abbiamo qui sia Paolo. Esatto, Paolo. E la parola “io” appare 46 volte in questa porzione della Scrittura, in Romani 7, se ricordo bene. Non contarle adesso. Comunque, la dice molte volte... E penso che ciò che abbiamo qui – alcuni dicono: “Beh, questo era Paolo prima di essere salvato. Questo era Paolo appena salvato, quando era ancora infantile e ancora in qualche modo carnale”. Io credo che questo sia Paolo ai vertici della sua percezione cristiana. Questo è Paolo al livello massimo di maturità. E ciò che vede è che non è all’altezza della santa legge di Dio, anche se lo desidera con tutto il cuore. E si scopre debilitato da quella brutta realtà che il peccato, nella sua realtà residua, è ancora presente, e quella è una realizzazione profondamente sensibile.
In 1 Corinzi 15:9, dice la stessa cosa in altri termini: “Poiché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio, io sono quello che sono”. Vedete? Non ha detto: “Non ero degno di essere apostolo”, disse cosa? “Io non sono degno ora di essere apostolo. Io sono il minimo di tutti”. In Efesini 3:8, dice: “A me, che sono il minimo di tutti i santi”, ora sta scendendo ancora di più. Prima era il minimo, ora è meno del minimo, capite? Quest’uomo, più si confronta con la santa legge di Dio – sebbene, nel nostro giudizio relativo agli altri uomini, egli sia il supremo – nella sua mente si considera meno del minimo di tutti i santi.
Vi porto a 1 Timoteo 1:12: “Ringrazio Cristo Gesù nostro Signore, che mi ha reso forte, perché mi ha stimato degno di fiducia, mettendomi al Suo servizio, benché io prima fossi un bestemmiatore, un persecutore e un violento”, voi potreste dire: “Beh, certo, questo è ciò che era”, ma poi continua: “Ma ho ottenuto misericordia, perché lo feci ignorantemente nell’incredulità. E la grazia del nostro Signore è stata sovrabbondata con la fede e l’amore che è in Cristo Gesù”. Poi dice: “Questa è una parola fedele e degna di essere accettata da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Tuttavia, per questo ho ottenuto misericordia”.
Ascoltate, io penso che sia esattamente ciò che sta dicendo in Romani 7. Questo è Paolo, molto avanti nel suo apostolato, maturo nel Signore, camminando nella dinamica della vita spirituale, avendo sperimentato la potenza di Dio, la saggezza di Dio e la conoscenza di Dio. E più sa, e più sperimenta, più odia il peccato che vede ancora aggrappato a sé. E i termini che usa in Romani 7 sono così precisi che non possiamo mancare di cogliere questa immagine. Chiunque sia questa persona, odia il peccato. Versetto 15: “Lo odio”. Chiunque sia questa persona, ama la rettitudine, versetti 19 e 21: “Vorrei fare il bene”. Chiunque sia questa persona, si diletta nella legge di Dio dal profondo del suo cuore. Versetto 22. Chiunque sia questa persona, si rammarica profondamente per i suoi peccati. Versetti 15, 18, 24: “O misero me, uomo infelice!” Chiunque sia questa persona, ringrazia Dio per la liberazione che ha in Gesù Cristo nostro Signore.
Non dirmi che quest’uomo non è un cristiano. Il cristiano, dunque, vive tra due estremi. Li tiene in tensione, temporaneamente, vive in questo mondo come un uomo di carne e sangue, soggetto alle condizioni della vita mortale. È un figlio di Adamo. Adamo è suo simile, come tutti gli altri uomini che hanno ereditato il seme del peccato, però spiritualmente parlando, è passato dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Ora partecipa alla morte, alla sepoltura e alla risurrezione di Cristo, ed è ora il possessore di un seme incorruttibile ed eterno, la natura divina. È una nuova creazione. Non è più in Adamo. È in Cristo, però il peccato rimane nella sua umanità, e così è consapevole della presenza e del potere del peccato che dimora in lui, e lo disprezza, e lo odia, e lo detesta, perché ha gustato il seme incorruttibile. Questo è l’uomo di Romani 7.
Ora, per rafforzare di nuovo questo concetto, c’è un cambiamento piuttosto drastico nei tempi verbali del capitolo. I verbi da Romani 7 dal 7 al 13 sono al passato, e credo che parlino di prima della sua conversione. Ed abbiamo esaminato questo in dettaglio per sottolineare che questa era la sua esperienza di convinzione pre–conversione, quando si trovava faccia a faccia con la legge di Dio. E i verbi sono al passato, all’aoristo. Non appena si arriva al versetto 14, i verbi passano al tempo presente, giù fino al versetto 25. Il cambiamento nel tempo verbale è una nota linguistica molto importante. Ci dice che Paolo è passato dal passato, prima di essere redento, al presente.
C’è anche un cambiamento molto interessante nella circostanza relativa al peccato. Nei versetti dal 7 al 13, il peccato lo uccide. Il peccato lo trafigge. Lo dice nel versetto 11: “Il peccato, colta l’occasione per mezzo del comandamento, mi ha ingannato, e per mezzo di esso mi ha ucciso”, il peccato l’ha ucciso, ha ucciso tutta la sua giustizia propria, tutte le sue speranze, tutte le sue sicurezze. Quando ha scoperto di essere veramente un peccatore vedendo la legge di Dio, ciò lo ha semplicemente devastato, lo ha completamente annientato. Il peccato l’ha ucciso.
Ma all’improvviso, quando si arriva al versetto 14, egli sta combattendo contro il peccato e non permetterà che lo uccida. Non cederà ad esso. E quindi credo che questa sia la testimonianza personale di Paolo su cosa significhi vivere come un credente maturo controllato dallo Spirito, che ama con tutto il suo cuore la preziosa, meravigliosa, santa, maestosa legge di Dio, e si trova avvolto nella carne umana, incapace di adempiere la legge di Dio nel modo in cui il suo cuore vorrebbe. Credo anche che in questa sezione continui la sua discussione sulla legge, e come abbiamo visto l’ultima volta, stia affermando ai Giudei che non c’è nulla di sbagliato nella legge. La legge non può salvare. Lo abbiamo visto. La legge non può santificare. Ma è comunque buona perché cosa fa? Convince di cosa? Del peccato. E questo è vero prima di essere salvati e, indovinate un po’? È vero anche dopo.
E credo che in Romani 7:14–25 stia seguendo lo stesso argomento. Ecco perché la parola “Infatti” appare nel versetto 14. Scorre naturalmente nel discorso, proprio come il peccato non ha annullato la bontà della legge prima che fosse salvato, non annulla la bontà della legge dopo che è stato salvato. La legge rivela il peccato come peccaminoso prima che tu sia salvato, e rivela il peccato come peccaminoso dopo che sei stato salvato.
Ora, quando diventi cristiano e leggi della condizione del peccato nella Bibbia, sei meno preoccupato per il tuo peccato perché ora sei cristiano? No, dovresti essere – cosa? – più preoccupato, e la legge lo rivelerà sempre. Quando Davide disse: “Ho riposto la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te”, stava dicendo che la Parola di Dio nel cuore diventa il punto di convinzione. Non è solo informazione. Capisci? Non attraversiamo la vita avendo solo bisogno di informazioni. Abbiamo bisogno di convinzione. E la legge ha questo potere. Quindi, mentre ci dice che la legge non può salvare e la legge non può santificare, egli afferma che è buona, santa e giusta, perché convince di peccato prima della salvezza portandoci a Cristo, e dopo la salvezza, così che possiamo comprendere il santo standard di Dio e desiderare con tutto il cuore di adempiere ad esso. Il problema non è la legge. Il problema siamo noi. Come disse Pogo: “Abbiamo incontrato il nemico e il nemico siamo noi”.
Ora esaminiamo la struttura del testo, versetto 14, è un quadro del peccato che dimora nella vita di un credente. E cercheremo di spiegare alcune delle difficoltà man mano che procediamo, però ho ritenuto che offrirvi questa panoramica generale all’inizio potesse aiutare a impostare le cose. Questo è un passo molto toccante. È un passo raro nella Bibbia perché fa qualcosa che accade raramente, e non riesco a pensare a un altro passo che faccia lo stesso, così su due piedi. È una serie di lamenti. È una serie di grida addolorate. È una serie di canti funebri disperati e dolorosi. E sono ripetitivi. Ce n’è uno, poi un secondo, poi un terzo. E dicono essenzialmente la stessa cosa tre volte. Questo è il grido di un cuore spezzato, di un’anima angosciata, di un’anima in grande conflitto. Ora, ognuno di questi tre lamenti segue lo stesso schema. Paolo descrive la sua condizione, ne fornisce la prova, e poi descrive la causa del suo problema. Descrive la sua condizione, fornisce la prova che è in quella condizione, e poi spiega la fonte del suo problema.
Guardiamo al primo lamento, dal versetto 14 al 17, e potremmo trascorrere un po’ più di tempo su questo primo perché, una volta interpretato questo, gli altri diventeranno chiari. La condizione si trova nel versetto 14, e lui inizia ciascuno dei tre lamenti con una dichiarazione della condizione. Il primo inizia nel versetto 14, il secondo nel versetto 18 e il terzo nel versetto 20. E ciascuno inizia con una dichiarazione della condizione, “Sappiamo infatti che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto sotto il peccato”.
La parola “Infatti” ci dice che Paolo non sta introducendo un nuovo argomento, sta continuando lo stesso discorso del passo precedente, cioè la bontà della legge, il valore della legge, perché essa ci mostra il nostro peccato. Il problema non è la legge. Il problema siamo noi, ed il motivo per cui sta parlando della legge è che i suoi critici avrebbero potuto dire: “Beh, quando predichi la salvezza per grazia mediante la fede a prescindere dalla legge, stai parlando male della legge. Stai svalutando la legge”, e lui dice: “Per niente. La legge è buona. Sono io che sono peccaminoso. La legge compie un’opera buona. Non salva e non santifica, ma convince di peccato”.
Così dice: “Sappiamo infatti che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto sotto il peccato”, inizia con un’affermazione chiara e diretta: la legge è spirituale. Cosa significa? Che proviene dallo Spirito di Dio. Proviene da Dio stesso. Quindi riflette la santa natura divina di Dio. Proprio come disse nel versetto 12 – ricordate? – Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono”.
Ora, di nuovo, lasciate che vi ricordi che credo che qui si debba vedere la testimonianza di un uomo rigenerato. Non vedo come persone non rigenerate, non redente, empie, che non conoscono Gesù Cristo, possano avere una tale percezione della santa legge di Dio. Nel versetto 18 dice la stessa cosa, in sostanza, “Voglio obbedire alla legge di Dio”. Nel versetto 19: “Voglio obbedire alla legge di Dio”. Nel versetto 21: “Voglio obbedire alla legge di Dio”. Versetto 22: “Mi diletto nella legge di Dio”, non vedo un tale diletto nel cuore di un uomo non rigenerato.
Ma poi Paolo prosegue dicendo: “Ho una barriera nel farlo, anche se la legge è spirituale”, ecco il contrasto. “Io sono carnale”, sarkinos, sono umano, sono legato alla terra, sono fisico. Non dice: “Io sono nella carne”. Non dice: “Sono totalmente controllato dalla carne”. Questo non è vero. Guarda Romani 7:5: “Infatti, quando eravamo nella carne, le passioni peccaminose, destate dalla legge, operavano nelle nostre membra per portare frutto alla morte”. Eravamo nella carne. Io non sono più nella carne.
Guardate al versetto 8 del capitolo 8: “Quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio”. E dovresti sottolineare “nella carne” in Romani 7:5 e 8:8, “Nella carne” è una condizione non rigenerata. E i suoi termini qui sono molto precisi, “Nella carne” è una posizione non rigenerata, non redenta. Egli dice: “Io non sono nella carne”, ma poi dice: “Sono carnale”. Sono carnale.
Tu dici: “Può un cristiano essere così?” Ascolta questo, 1 Corinzi 3 verso 1: “Quanto a me, fratelli, non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma come a carnali, come a bambini in Cristo”, versetto 3: “Perché siete ancora carnali. Infatti, dato che vi è tra di voi invidia e contesa, non siete forse carnali e non camminate secondo l’uomo?” Dice ai cristiani di Corinto: “Siete carnali. Siete carnali. State agendo in modo peccaminoso e carnale”. Noi non siamo nella carne, ma – ascoltatemi – la carne è ancora in noi. Non siamo più nella carne nel senso di esserne prigionieri. Ora guardate al versetto 18: “Infatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene”. Egli dice che la carne è ancora lì. Io non sono nella carne, ma la carne è ancora in me. E il versetto 25: “Con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato”.
Non sei più nella carne, però la carne è in te. E questo è semplicemente un termine per indicare la nostra umanità. Potrebbe essere lo stesso termine usato in Romani 6:12: “Non regni dunque il peccato nel vostro – cosa? – corpo mortale”. Non regna nella tua mente. La tua mente è rinnovata. Paolo sta usando la parola “mente” in questo modo in Romani 7. Non regna nella tua nuova creazione, nella tua nuova natura. Regna nel tuo corpo mortale. E quindi i suoi termini sono molto coerenti.
Il peccato è nella nostra umanità. Ecco perché, cari fratelli, vi ho detto questo qualche settimana fa: quando morite, andate immediatamente in cielo perché siete già stati resi idonei per il cielo; tutto ciò che dovete fare è liberarvi della carne. E quando lasciate il corpo, questa è l’unica questione con cui dovete confrontarvi. Ora, qualsiasi cristiano potrebbe fare l’affermazione del versetto 14. Alcune persone hanno problemi con questo. Vediamo se posso semplificarlo. “Sono carnale”, potresti dirlo? Io potrei, voglio dire, è vero. Voi potreste dire: “Sì, ma sicuramente non stai parlando in termini teologici tecnici”, no, no, no. Sto solo dicendo... potrei dire, come cristiano, “Sono un peccatore salvato per grazia”? Sono ancora un peccatore? Dio mi aiuti se non lo dico. Se dicessi: “Beh, da quando sono stato salvato non ho più peccato”, mia moglie verrebbe qui a testimoniare.
Vedete, il punto è che posso dirlo, posso dire che sono carnale, o carnale, mondano. Ci sono cose in me che lo dimostrano. Mi arrabbio, mi iirrito. Non sempre adempio ai miei doveri come dovrei. Non mantengo sempre la diligenza che dovrei nella ricerca di Dio, pur desiderandolo. Vedo la mia umanità, la mia carne, ostacolare il compimento di tutto ciò che dovrei fare. Sono insensibile alle persone quando loro hanno bisogno della mia gentilezza e io non sono gentile, quando avrebbero bisogno della mia benevolenza e io non sono benevolo, e così via. Mi vedo come umano, mi vedo come peccatore. Non parlo sempre in modo santo a tutti quelli che mi parlano come dovrei. Possiamo tutti dire questo. È una dichiarazione generale.
E poi arriva questa, e sembra essere il vero Waterloo per gli interpreti: “Venduto al peccato”, ora si che si tratta di un’affermazione seria... aspetta un attimo, “se siamo stati liberati dal peccato, come possiamo essere venduti al peccato”? Bene, guardate al versetto 23: “Ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato”, mi rende prigioniero della legge del peccato. Una dichiarazione molto interessante. E quando arriveremo lì, vi dirò cosa significa. Faccio fatica a non dirvelo ora, ma lo saprò.
Ma quello che sta dicendo qui è la stessa cosa, “Sono stato reso prigioniero della legge del peccato”, versetto 23. “Venduto al peccato”, versetto 14. Cosa significa? Bene, in greco dice letteralmente “venduto sotto il peccato” – il principio del peccato – la realtà del peccato, non tanto le azioni, ma vede se stesso ancora venduto al peccato. C’è un senso in cui ha ancora una certa schiavitù. Ora, tenete a mente che nel capitolo 6 stava parlando della tua nuova creazione: quella nuova creazione, seme puro ed eterno, incorruttibile, eterno, la natura divina, la nuova natura, tutto ciò che sei in Gesù Cristo, santo, puro, senza macchia e giusto per la giustizia imputata di Gesù Cristo. Questo non è ciò di cui sta parlando qui. Sta dicendo “Io” – non la nuova natura, ma “Io” in generale – mi vedo come schiavo, venduto al peccato.
E poi nei versetti 23 e 25 lo chiama “la legge del peccato che è nelle mie – cosa? – nelle mie membra”, e di nuovo, i suoi termini son coerenti. Le membra si riferiscono alle membra fisiche del corpo, al fisico, alla carne, e si estende persino alle emozioni, ai sentimenti, alla mente, al pensiero. Ma è sempre nelle membra, nel corpo, nella carne, è nella nostra umanità, può questo lamento venire da un cristiano? “Io sono carnale, venduto sotto il peccato”, che dire del Salmo 51:5? Davide disse – ascoltate a queste parole: “Ecco, io sono stato formato nell’iniquità, e mia madre mi ha concepito nel peccato”, ora, questo suona come un uomo che non è mai stato redento, vero? Ma Davide era redento? Oh sì. Sta semplicemente osservando una realtà su se stesso. È una percezione, fratelli. Ecco un cristiano maturo. Ecco un uomo che guarda alla sua vita, e noi saremmo i primi a dirgli: “Ehi, sai, dovresti migliorare la tua autostima, amico. Questo è un linguaggio terribile”.
Ricorda, francamente, Isaia capitolo 6, quando si presenta davanti a Dio ed è lì a adorare Dio, e vede questa grande visione di Dio, e dice: “Maledicimi. Guai a me” – che significa maledicimi, condannami, dannami, Dio – “perché sono un uomo con una bocca impura e vivo in mezzo a un popolo con bocche impure”. E tutto ciò che il profeta può vedere, di fronte alla gloriosa santità di Dio, è il proprio peccato. Ed ecco la maturità dell’apostolo Paolo, che ora comprende quanto la legge sia spirituale. Un tempo pensava che fosse qualcosa di esterno, vero? Non sapeva che parlava del cuore. Ecco perché la legge riguardante la concupiscenza e la cupidigia nel cuore, versetto 7, l’ha colpito profondamente e lo ha ucciso. Ora vede che la legge è qualcosa di profondo, e profondo, e spirituale, una cosa santa – versetto 12 – una cosa giusta, una cosa buona. E mentre comprende davvero la legge di Dio e guarda a se stesso, vede: “Io sono carnale”. È una percezione legittima. È lo stesso concetto che intendeva in 1 Timoteo 1 quando disse: “Di cui io sono il – cosa? – primo”. È solo una questione di percezione. Non solo un cristiano può dire di avere una schiavitù al peccato, pur essendo redento, perché effettivamente abbiamo una schiavitù al peccato. Puoi spezzare la schiavitù del peccato che hai? Non in questa vita. Non in questa vita. E più sei spirituale, più sei maturo, più è probabile che tu lo dica.
Quindi “venduto al peccato” non significa – non dobbiamo lasciarci travolgere dai termini – non significa che si sia venduto attivamente al peccato per commetterlo, come si dice di Acab in 1 Re 20, e degli Israeliti idolatri in 2 Re 17. Non è che sia andato fuori a vendersi al peccato. È che riconosce che c’è una schiavitù lì. E sapete, ci sono stati momenti in cui siamo stati prigionieri del peccato, e ve lo dico, quando succede, ogni volta che peccate, ogni volta che pecchi, perdi la battaglia, il peccato ti prende prigioniero, giusto? E così Paolo esprime a parole tutti i nostri sentimenti, articolando la base del conflitto che si trova nel credente. E tutti noi, ovviamente, comprendiamo questa percezione. Possiamo tutti vedere che c’è peccato nelle nostre vite. Non dovrebbe esserci. Non è la cosa più vera di noi. Non è il nostro nuovo “io”, però è lì. Questo è semplicemente il conflitto di ogni cristiano.
C’è un senso in cui, pur essendo liberi nella nuova natura, siamo ancora vincolati dall’umanità in cui abitiamo. E posso dire ancora una volta che davvero non penso che una persona non rigenerata possa fare un’affermazione del genere, perché, innanzitutto, non penso che sappia che la legge è spirituale, e, in secondo luogo, non penso che sappia di essere carnale. E inoltre, non penso che si consideri venduto al peccato. Vivono nell’illusione che tutto vada bene. È esattamente ciò che dice il versetto 11, che il peccato ha un modo di fare – cosa? – d’ingannare. Ma quando la legge viene vista per quello che è veramente, spirituale, allora un uomo si vede così lontano dall’adempiere alla santa legge di Dio e non si vede come spirituale.
Infatti, il versetto potrebbe davvero essere letto in questo modo: “La legge è spirituale, ma io sono non spirituale, sperimentando una schiavitù al peccato”, il grande commentatore esegetico Cranfield scrisse: “Più seriamente un cristiano si sforza di vivere dalla grazia e di sottomettersi alla disciplina del Vangelo, più diventa sensibile al fatto che anche i suoi atti e attività migliori sono sfigurati dall’egoismo, che è ancora potente dentro di lui, e non meno malvagio perché spesso più sottilmente mascherato rispetto a prima”, ora lasciate che vi dica qualcosa che vi scioccherà. Ha ragione. Tu non sei meno empio ora di quanto lo fossi nella tua mortalità non redenta e nella tua umanità. Sei malvagio. E non ci sono molte gradazioni in questo. Basta un solo peccato per esserlo.
C’è in te una nuova natura che è santa, ma quella presenza peccaminosa della carne è ancora lì. Il benedetto commentatore di un tempo, Thomas Scott, scrisse: “Quando il credente confronta i suoi reali progressi con la spiritualità della legge, e con il suo stesso desiderio e obiettivo di obbedirle, vede che è ancora in grande misura carnale e sotto il potere di inclinazioni malvagie, dalle quali, come un uomo venduto come schiavo, non può del tutto liberarsi. È carnale in proporzione esatta al grado in cui non riesce a conformarsi perfettamente alla legge di Dio”, e questa è una grande affermazione, “È carnale – in esatta proporzione al grado in cui non riesce a conformarsi perfettamente alla legge di Dio”. E non vedete, fratelli, che questo è veramente quello che il versetto 13 stava affermando? Il peccato è così peccaminoso, il peccato è così miserabile, è così vile che persino quando una persona viene redenta, il peccato rimane attaccato con la sua tenacia. Questa è la sua condizione, ed è la tua e la mia in quanto cristiani.
E la prova di tutto questo? Versetto 15. Ecco la prova: “Poiché ciò che faccio, non lo capisco; perché non quello che voglio, quello faccio, ma quello che odio, quello faccio”, l’uomo moralmente auto–giustificato può ingannare se stesso, ma un vero cristiano guidato dallo Spirito no. Vede in sé la prova del peccato che dimora in lui. Notate attentamente il versetto: “Ciò che faccio, non lo capisco”, e poi più avanti dice: “Ciò che odio, lo faccio”, la parola “conosco” parla di un’intimità d’amore. Fu detto di Giuseppe che “non aveva conosciuto Maria”. E penso che il suo uso qui, in contrasto con la parola “odio”, ci dia la libertà di comprenderlo in quel modo.
E quello che sta dicendo è: “Ciò che faccio, non lo amo. E ciò che odio invece, lo faccio”, che è un altro modo di dire la stessa cosa. Ora, questo è un vero e proprio conflitto psicologico interiore della natura più profonda, sta dicendo: “La mia volontà è frustrata”, non è tanto che quando vuole fare una cosa buona, non può farla. È che quando vede la legge di Dio e vuole osservarla interamente, non può. Capite? Non è un problema isolato che dice: “Ecco, sono un cristiano e vorrei dire una cosa buona su questa situazione, o vorrei fare qualcosa di giusto, qualcosa di onorevole e santo, ma non so come farlo”. Non è questa l’idea, come se parlasse di un singolo atto che non riesce a compiere. Ciò che sta dicendo è: “C’è un’intera legge di Dio che voglio obbedire e sono completamente frustrato nel cercare di farlo”. Ed anche voi conoscete quella frustrazione, non appena fate qualcosa di giusto e venite elogiati per quello, immediatamente fate qualcosa di sbagliato: diventate orgogliosi; e vi frustrate dicendo proprio quello che ha detto anche lui: “O miserabile uomo che sono, quando mi libererò di questo conflitto?”
La sua volontà è frustrata. Non è che il male vinca sempre. È solo che ha uno standard così alto perché la legge è così santa, così giusta, così buona, così spirituale, che quando vede l’alto standard della legge, vuole vincere sempre dalla parte di Dio, e qualsiasi vittoria del male gli sembra una sconfitta orrenda. Ed è per questo che dico, e lo ripeto così spesso, che “la strada verso la spiritualità è sempre lastricata da un senso della propria miseria”, non dalla propria gloria personale, questo è un vero uomo spirituale, un cuore spezzato e contrito. Questo è un uomo che grida: “O Dio, non posso essere tutto ciò che vuoi che io sia. Non posso adempiere tutta la Tua santa, giusta e buona legge”, e sapete, ci sono molti cristiani che non sono a questo punto, e non è perché sono così santi, è perché sono così superficiali nella loro comprensione della santa legge di Dio. Ebbene, ci ha dato la condizione, ci ha dato la prova, ed ora ci dà la causa, e con questa ci fermeremo.
Versetto 16: “Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la legge è buona”, voglio dire, non è colpa della legge, perché voglio adempiere la legge. Ora, potreste dire: “Cos’è che ti fa desiderare di adempiere la legge?” Ve lo dico io cos’è che mi fa desiderare di adempiere la legge: la nuova creazione, la natura divina che si trova in me, quel seme incorruttibile ed eterno, quella parte di me di cui parlava Giovanni quando disse: “Se sei veramente nato di nuovo, non peccherai”. Quella nuova parte di me stesso che desidera davvero adempiere la legge, vuole adempiere la legge, e quindi affermo che la legge è buona perché la parte buona di me vuole farlo. Capite? La legge è buona. Ora, versetto 17: Se non è la legge che è cattiva, se la legge non è il mio problema, “ora dunque non sono più io a farlo, ma il peccato che dimora in me”.
Ora ascoltate molto attentamente, oppure perderete tutto il senso del discorso qui, se non capite questo punto. Il cristiano ha nel suo cuore il senso dell’eccellenza morale della legge di Dio. Più maturo è quel cristiano, più profondamente è impegnato nella direzione dello Spirito di Dio nella sua vita, più profondo è il suo amore per il Signore Gesù Cristo, più profonda è la sua percezione della santità di Dio, maggiore sarà il desiderio di adempiere la legge. E visto che è la parte migliore di lui che desidera adempiere la legge di Dio, allora la volontà di Dio – la legge di Dio – deve essere il meglio. Quindi non è la legge di Dio il problema. Il problema è il peccato che dimora in me. È di nuovo la nostra umanità, però qui, il versetto 17, c’è l’affermazione chiave per interpretare l’intero passo.
Nel versetto 14, parlava solo in termini generali. E ci ha dato una sorta di prospettiva della sua umanità non redenta come se lo dominasse. E tu ed io conosciamo questa esperienza. A volte ci sembra che il peccato ci domini completamente. Semplicemente non riusciamo a essere tutto ciò che vorremmo essere per Dio. Non vi siete mai sentiti così? Non riusciamo a essere potenti come vorremmo. Non riusciamo a essere puri come vorremmo. Non riusciamo a essere santi come sappiamo che la Sua legge vuole che siamo. E quindi possiamo dire nel versetto 14: “Sono carnale e mi vedo prigioniero del peccato”, e questa è un’affermazione non tecnica, è una dichiarazione generale. E dice “sono carnale”, e non sta dividendo se stesso in due. Non sta dicendo: “Beh, non sono io, è il peccato in quel momento”. Sta semplicemente dicendo: “Io sono responsabile”, e penso che il versetto 14 sia molto importante perché dice al cristiano che se pecca, chi è responsabile? Lui...
E ci protegge da una sorta di dualismo filosofico, che oggi viene insegnato in molti ambienti, secondo cui quando pecchi è solo la tua vecchia natura che pecca, quindi lasciala peccare. Non puoi correggere una vecchia natura comunque, lasciala fare il suo corso. E che Dio non ti ritenga responsabile, è solo la tua vecchia natura, però lui dice “Io”, “Io”, e si assume la responsabilità. E così devi fare anche tu, “Sono io”.
Non è due persone. Sta parlando in termini non tecnici.
Quando vedo la legge santa e pura di Dio, vedo la mia peccaminosità. E dico: “Oh, quanto sono peccatore, e più comprendo la legge di Dio, più vedo quanto sono prigioniero del peccato”.
Ma non voglio che ti confonda, dice nel versetto 17. E lascia che lo chiarisca, “Non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me”. Non è importante? Ora sta facendo una distinzione tecnica. Ora – guarda questo – “non sono più io”, volete sapere una cosa? Non ci sono “non più” nella vita di un incredulo. Qualunque cosa fosse, lo è ancora. Non ci sono “non più” nella vita di una persona non rigenerata. Non aveva nessun “non più”, e non ha nemmeno nessun “ora”, non può dire: “Ora sono diverso. Non sono più così”. Non ci sono “ora” e non ci sono “non più”.
Quando dice “de ouketi”, un avverbio negativo di tempo, significa che da questo momento in poi qualcosa è cambiato.
Ora, da quando Cristo è entrato a far parte della mia vita e sono stato redento, non è più il mio “io” interiore profondo, in senso tecnico, “Non sono più io a farlo, ma è il peccato che rimane attaccato”, state cominciando a capire la distinzione che sta proponendo? Devi capire questo per comprendere il carattere della rigenerazione. Egli divide i capelli semantici nel versetto 17, non nel 14. Nel 14 offre solamente una dichiarazione generale, nel 17 chiarisce dicendo: “Ora capiamolo bene”. “Non è più davvero il nuovo io, ma è solo il peccato che dimora in me”, è solo Galati 2:20 di nuovo, fratelli: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me; e la vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me”.
Capite? Sta dicendo: “Sono io, ma non sono io. È un nuovo io”. Ed è quello che sta dicendo nel versetto 17. Quindi, dopo la salvezza, la parte dell’uomo in cui risiede il peccato non si trova più nel suo io più profondo. Non risiede più nel suo ego. Non è più lì, nella sostanza stessa di ciò che quell’uomo è. Quella parte è stata ricreata per essere come Cristo. E il peccato trova la sua dimora residua nella sua carne, nella sua umanità. E lo dice nel versetto 18: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non dimora alcun bene”, qual è la fonte del problema di Paolo? La condizione: il conflitto. La prova: “Non faccio quello che voglio fare, faccio quello che non voglio fare”. La fonte – alla fine del versetto 17 – “il peccato che abita in me”. Il peccato che dimora in me. Posso suggerirti che c’è una grande differenza tra il peccato che sopravvive e il peccato che regna? Il peccato non regna più, ma sopravvive in noi.
Concluderò con questo. Siamo come un artista inesperto che ha un quadro da dipingere, una posizione chiara. Forse è fuori e vede le montagne, gli alberi, i fiumi. Ha il suo cavalletto, ha tutti i suoi colori. È pronto a dipingere questo meraviglioso paesaggio. Il problema è che è un vero pasticcione e non riesce nemmeno a disegnare figure stilizzate, figuriamoci paesaggi. Ha la scena da dipingere, in tutta la sua meravigliosa maestosità. Ha i colori per dipingerla. Ma non ha la capacità. È debilitato dalla sua incapacità fisica.
Non è che non riesca a percepirla. Non è che non abbia gli strumenti a disposizione. È solo che la sua goffaggine è d’intralcio. La colpa non è della scena, vero? Non c’è nulla di sbagliato nella scena. La colpa non è nemmeno dei colori. La colpa è nell’incapacità dell’artista. E questo è esattamente dove il cristiano trova la sua frustrazione. Credo che sia proprio qui che arriviamo al punto in cui chiediamo al maestro artista di mettere la sua mano sulla nostra mano, di tenere la nostra mano mentre noi teniamo il pennello, e di tracciare i colpi che, indipendentemente da Lui, non potremmo mai dipingere.
Ed è per questo che dobbiamo renderci conto che la vittoria che sperimentiamo arriva solo quando ci arrendiamo a Colui che può vincere la carne. In Galati 5:17 – chiudo con questo versetto – dice: “Poiché la carne ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; questi sono opposti l’uno all’altro, affinché non facciate le cose che vorreste”. Ti suona familiare? Proprio come Romani 7. Tu dici: “Conosco quella battaglia. Come la vinco?” Torna indietro di un versetto.
“Io dico: camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne”. Credo che lo Spirito possa darci la vittoria. Ma lascia che ti avverta: più vittoria hai, e più maturi in Cristo, e più vedi la giustizia vincere sul peccato, più riconoscerai la peccaminosità del peccato, e più ti ritroverai in Romani 7. È un posto per persone totalmente impegnate, completamente abbandonate, il cui desiderio più profondo e più profondo è adempiere tutta la legge di Dio, e sono in grande angoscia perché non possono farlo. E gridano: “O miserabile uomo che sono, quando – versetto 24 – mi libererò da – cosa? – questo corpo?” I termini sono sempre coerenti, “Quand’è che mi libererò di questo peso e arriverò alla gloria, e adempirò eternamente la legge di Dio?”
Questo è il primo lamento. Ne restano ancora due. Preghiamo: Padre nostro, Ti ringraziamo stasera per questo passo così profondo, che apre i nostri cuori e ci aiuta a vedere la lotta. Ti ringraziamo, o Dio, perché siamo nuovi in Cristo. Pensiamo alle parole dell’apostolo Paolo alla chiesa di Corinto quando scrisse: “Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura. Le cose vecchie sono passate, ecco, sono diventate nuove”. E sappiamo, Padre, che nella nuova natura tutte le cose sono nuove, che in quel nuovo io che siamo in Cristo, tutto è nuovo, e lì c’è giustizia. Ma, Padre, la carne, il corpo di questa morte, le nostre membra, questo corpo mortale con il suo carattere carnale residuo, rimane e causa una battaglia. Aiutaci a sapere che non è colpa della legge.
La legge è santa, giusta e buona. È colpa del peccato. E, Dio, dacci il desiderio del cuore di adempiere tutta la Tua buona legge, di vedere il peccato sconfitto. E sappiamo che questo avviene quando camminiamo nella potenza dello Spirito, arrendendoci a Lui, assaporando la dolcezza della vittoria, fino al giorno in cui Gesù verrà e ci libererà dal corpo di questa morte, e diventeremo tutto ciò che dovremmo essere nella Tua gloriosa presenza. Tieni i nostri cuori aperti mentre continuiamo attraverso questo capitolo, affinché possiamo ascoltare la Tua voce. Ti ringraziamo nel nome di Cristo. Amen.
FINE

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