
Nel nostro studio della Parola di Dio, stiamo esaminando il grande testo di 1 Pietro. E dunque vi invito a prendere la vostra Bibbia insieme a me e ad aprirla in 1 Pietro capitolo 4, e di nuovo stiamo guardando ai versetti dal 7 all’11, considerando il tema: “Il dovere cristiano in un mondo ostile”. La scorsa domenica del Signore abbiamo iniziato ad osservare questo testo. Continueremo a sforzarci di illustrarne le verità la prossima domenica del Signore, e quindi ci troviamo, per così dire, a metà di questa porzione meravigliosa della Scrittura. Prima di addentrarci nel testo in questione, permettetemi di introdurre il tema riferendomi ad un altro testo tratto dal Vangelo di Luca, dalle parole stesse di Gesù al capitolo 14, versetto 26: “Se uno viene a Me e non odia suo padre, e madre, e moglie, e figli, e fratelli, e sorelle, sì e perfino la sua propria vita, non può esser Mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro a Me non può essere Mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha di che finirla? Perché, se getta le fondamenta e poi non è in grado di terminare, tutti quelli che lo vedono cominciano a deriderlo dicendo: ‘Quest’uomo ha cominciato a costruire e non è riuscito a terminare’. Oppure quale re, partendo per muovere guerra ad un altro re, non si siede prima a prendere consiglio per vedere se può affrontarlo con diecimila uomini contro colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per trattare la pace. Così, chiunque di voi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere Mio discepolo”.
Senza addentrarci in profondità in questo testo specifico, e riservandone tale approfondimento per un’altra occasione, almeno possiamo discernere da esso che nessuno dovrebbe diventare un seguace di Gesù Cristo senza prima calcolarne il costo. E, da questo testo, è evidente che l’implicazione è che il costo è molto alto. Essere un cristiano autentico richiede una volontà di pagare il prezzo. E quando parliamo di essere discepoli di Gesù Cristo, lo facciamo con questa idea in mente. Dobbiamo incoraggiare le persone a calcolare il costo, a misurare il prezzo, a considerare ciò che Cristo chiede a noi. È costoso seguire Gesù Cristo. Ricordiamo nella parabola del tesoro del campo e nella parabola della perla di gran prezzo che in entrambi i casi ci viene detto che l’uomo vendette tutto ciò che aveva per comprare il tesoro o la perla. Nel caso del giovane ricco, Gesù gli chiese di prendere tutto ciò che possedeva, di venderlo, di prendere il suo denaro e darlo ai poveri, e poi di seguirLo. Gesù disse ad alcuni aspiranti discepoli che si aspettava che lasciassero tutto e Lo seguissero subito, a costo di qualunque altra attività in cui potessero essere impegnati. Esitarono e dissero che dovevano fare cose come badare alle faccende di famiglia, seppellire il proprio padre, e così via. Gesù, affrontando anche quelli che divennero Suoi discepoli, semplicemente disse loro: “Lasciate le vostre reti e seguitemi, rinunciate al vostro modo di vivere, alle faccende della vostra vita, in cambio del seguire Me”. Non discuteremo ulteriormente la costosa natura della salvezza, ma ciò che vorrei ricordarvi è una verità che fu espressa almeno una volta da un uomo di nome Søren Kierkegaard, un filosofo, che disse questo: “A un uomo, costa molto di più andare all’inferno”.
Proverbi 13:15 lo esprime così: “La via degli empi è dura”. La via del discepolo può essere costosa, ma la via del discepolo non è dura, perché Gesù disse: “Prendete su di voi il Mio giogo ed imparate da Me, perché il Mio giogo è”, cosa? “dolce, e il Mio carico è leggero”. Il vero prezzo lo paga colui che non vuole pagare il prezzo del discepolato. La difficoltà appartiene alla via del trasgressore. E tutta la Scrittura, e tutta l’esperienza umana, non fa altro che registrare la realtà di questo stesso fatto. Rifiutare la giustizia, rifiutare la salvezza, rifiutare d’essere un discepolo di Gesù Cristo significa scegliere la via più dura: una vita di senso di colpa schiacciante, una vita di domande senza risposta, una vita di delusioni senza speranza, una vita di problemi infiniti ed irrisolvibili; e dopo tutto ciò, passare l’eternità all’inferno. Dovremmo dunque concludere, e credo sia bene esserne regolarmente ricordati, che sebbene il costo del discepolato sia alto e richieda la disponibilità di rinunciare a tutto ciò che siamo per seguire Cristo, è pur sempre piccolo se paragonato all’alto prezzo del rifiuto di diventare seguaci di Gesù Cristo.
Seguire Gesù Cristo è costoso, ma dolce, ed è questo il paradosso meraviglioso del discepolato. Infatti, in 1 Giovanni 5:3 Giovanni ci ricorda persino che i Suoi comandamenti non sono gravosi. Siamo chiamati a seguire Cristo. Siamo chiamati a esser Suoi discepoli. Siamo chiamati, in quanto tali, ad ubbidire ai Suoi comandamenti. Nella Bibbia ci vengono date istruzioni chiare, e ci viene anche data la forza abilitante e diretta dallo Spirito Santo per adempiere quei comandamenti. Ed il risultato è la gioia. E se siamo disposti ad ubbidire alle dottrine fondamentali della vita cristiana, nella potenza di una vita ripiena di Spirito, allora scopriremo anche che il “giogo è dolce e il carico è leggero”, e quindi, anche se dobbiamo parlare del costo del discepolato, dobbiamo anche parlare della facilità del discepolato, grazie alla grande grazia di Cristo data nello Spirito.
Viviamo in un mondo complesso. Nessuno metterebbe in dubbio la cosa, tuttavia, il cristianesimo contemporaneo sembra propenso a ritenere che, visto che il mondo è complesso, anche le soluzioni ai problemi dei cristiani siano complesse. Ciò, tuttavia, non è vero. Il giogo è dolce, il carico è leggero, un viandante, pur essendo stolto, non sbaglia strada. I sapienti e gli intelligenti non sono necessariamente gli unici privilegiati di questa verità. I comuni, gli ignobili, i deboli, i semplici, i bambini conoscono le cose di Dio. Le fondamenta della vita cristiana, io credo, non sono complesse, ma semplici, dirette. E credo che ciò che Pietro condivide con noi in questo testo ci porti agli elementi semplici, basilari e fondamentali del vivere la vita cristiana. È uno di quei grandi testi riassuntivi che dice così tanto in così poche parole.
Seguiteli nella lettura: “ La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto, mantenete un amore fervente gli uni per gli altri, perché l’amore copre una moltitudine di peccati. Siate ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorii. Come ciascuno ha ricevuto un dono particolare, usatelo servendovi gli uni gli altri, come buoni amministratori della svariata grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come comunicando oracoli di Dio; chi presta servizio, lo faccia con la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa Dio sia glorificato per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”.
E così, mentre ci avviciniamo a questo testo e, per così dire, ci avviciniamo alla “dolcezza del discepolato”, al giogo leggero, il carico lieve, reso tali dalla provvista di Cristo nel Suo Spirito ed attraverso la rivelazione della Sua verità, arriviamo ai fondamenti della vita cristiana, una sintesi meravigliosa. Ma prima di guardare di nuovo nello specifico a questa sintesi, permettetemi di incoraggiarvi con un altro tipo di pensiero introduttivo. Io credo che una delle caratteristiche della vita cristiana, una delle manifestazioni della nuova natura, una delle cose impiantate nel cuore di un credente, sia il desiderio di essere ciò che Dio vuole che noi siamo. Lo troviamo espresso in Romani capitolo 7, dove Paolo vede il peccato come un qualcosa che non vuole fare, o qualcosa che fa quando non dovrebbe, o qualcosa che non fa quando dovrebbe. In altre parole, c’è un senso in cui, in Romani 7, mentre Paolo riporta cronologicamente la sua esperienza spirituale, riceviamo con grande chiarezza il messaggio che egli vuole ubbidire alla legge di Dio, che è santa, giusta e buona. E quando non lo fa, è quella maledetta carne che aggrappandosi alla sua natura redenta gli impedisce di fare le cose che vorrebbe e gli fa fare le cose che non vorrebbe.
E ciò che traggo da questo, tra molte cose, è il fatto che nel credente esiste un desiderio per ciò che è giusto, un anelito per ciò che è giusto, un anelare per ciò che è il meglio. Potremmo riassumere dicendo che i credenti, in virtù della nuova natura, odiano il peccato ed amano la giustizia. Ora, questo può offuscarsi a causa della nostra natura decaduta, ma è l’impulso fondamentale della nuova creazione. Vogliamo fare ciò che è giusto. Ma, miei cari, ciò non basta, quel desiderio non è sufficiente a portare a compimento ciò che Dio desidera da noi. Supporre che lo sia, è un po’ come il bambino, che sapete, decide di voler essere come qualcun altro.
Forse sogna di diventare un giocatore di baseball di una delle leghe principali, e così ha la sua mazza e quando va nel cortile ha anche la foto del suo eroe del baseball, e cerca di mettersi nella stessa posizione di quell’eroe e cerca d’impugnare la mazza come fa il suo eroe, e di sventolare la sua mazzettina come lui. Oppure, ha uno zio che è un grande medico, che è stato in grado di guarire centinaia di persone, e questo ragazzino è affascinato dalle capacità di suo zio e desidera cje forse un giorno anche lui potrà esser come lui e così ha il suo piccolo stetoscopio, uno che lo zio non usa più, che si mette al collo mentre gira per casa facendo finta di fare il dottore. O, magari, c’è quel bambino che vuole essere un grande musicista e quindi starnazza e stride senza fine su un violino che vorreste che in qualche modo sia distrutto.
E vi dico che desiderarlo non significa ottenerlo. Desiderarlo non basta. In qualche modo, quel bambino deve iniziare avendo una certa capacità o potenzialità e poi intraprendere una vita intera di preparazione. Durante tale vita deve spendere tempo ed energie per costruire un fondamento di abitudini, di reazioni, di forze, di tempismo, persino di memoria, che produrranno la grandezza prestazionale a cui aspira. Ma desiderarla non è sufficiente. Può nascere dal desiderio, ma non si realizza pienamente solamente nel desiderio. Sappiamo tutti che un momento di successo nel box di battuta, in un frangente cruciale delle Serie Mondiali che cambia il corso e vince la partita, sappiamo che quella capacità di esibirsi al meglio nel momento della crisi, quando tutto è in gioco, non è determinato da un grande desiderio, ma da una preparazione profonda, non è forse vero? Essere capaci di operare in modo adeguato nella sala d’emergenza, quando la vita è in bilico e dipende da te il mantenerla, non deriva da un mero desiderio; avviene a causa di una profonda preparazione che ti rende pronto per il momento di crisi. Essere in grado di stare davanti ad un pubblico critico, con un occhio pronto a cogliere eventuali errori, non accade perché lo si desidera, ma per una preparazione profonda, sì, una vita di preparazione.
E vi sottopongo, carissimi, che ci sono molti cristiani, forse la maggioranza, che hanno la visione, per così dire, perché possono vedere l’immagine di Cristo nella Parola di Dio, ed hanno il desiderio di eccellenza spirituale, ma – ascoltatemi bene – non hanno la disciplina quotidiana che è necessaria per produrla. Ed il desiderio non permetterà loro di affrontare il momento della crisi. Ed è per questo che molti cristiani benintenzionati si sgretolano nel momento della crisi. Quando si avvicinano alla crisi, vorrebbero trovare una scorciatoia. Vorrebbero fare un corso rapido di forza spirituale quando il momento di crisi incombe su di loro, però non succede. L’unico modo per cui il giogo è dolce, l’unico modo per cui il carico è leggero, l’unico modo per esser pronti alla crisi, è quando si è stati preparati dalle discipline spirituali di camminare in ubbidienza ai principi rivelati della vita cristiana. E non ci sono scorciatoie, né soluzioni rapide. Nella disciplina spirituale quotidiana si costruiscono la forza, il coraggio, l’audacia e la profondità che ci consentono di agire al meglio nel momento di crisi.
I cristiani sembrano fare molta, molta fatica a imparare che non si può vivere una vita allo sbaraglio e poi, quando arriva il momento di crisi, afferrarne il controllo e all’istante vivere e reagire come farebbe Cristo. Non si può fare così, se per il resto della vita non state vivendo come Cristo vorrebbe che viveste, ma è proprio questo tipo di cristianesimo superficiale che nutre la superficialità del nostro tempo.
Dallas Willard, scrivendo in un libro intitolato “Lo spirito delle discipline” (The Spirit of the Disciplines), disse, e cito: “Gli episodi sul momento non sono il luogo in cui possiamo, anche per grazia di Dio, reindirizzare tendenze d’azione non cristiformi ma radicate verso una repentina somiglianza a Cristo. I nostri sforzi di prendere il controllo in quel momento falliranno in modo così uniforme e così ingloriosamente che l’intero progetto di seguire Cristo apparirà ridicolo al mondo che osserva”, fine citazione.
Prosegue poi dicendo: “Alcuni decenni fa apparve un romanzo cristiano di grande successo dal titolo ‘Nelle sue orme’ (In His Steps)”, che abbiamo letto di recente, dove “La trama racconta di una catena di eventi tragici che portano il ministro di una chiesa prospera a rendersi conto di quanto la sua vita fosse diventata diversa da quella di Cristo. Il ministro poi guida la sua congregazione a fare un voto di non fare nulla senza prima porsi la domanda: ‘Cosa farebbe Gesù in questo caso?’ Ora, così come il contenuto del libro chiarisce, l’autore considerava questo voto la stessa cosa dell’intenzione di seguire Gesù, di camminare esattamente nelle Sue orme. È, naturalmente, un romanzo, ma perfino nella vita reale potremmo contare su cambiamenti significativi nelle vite di cristiani sinceri che prendessero un tale impegno, proprio come avviene in quel libro”, e poi scrive questo: “Ma c’è un difetto in questo modo di pensare. Chiederci ‘Cosa farebbe Gesù?’ quando, all’improvviso, ci troviamo di fronte a una situazione importante, semplicemente non è una disciplina o una preparazione adeguata a consentirci di vivere come Cristo. Senza dubbio farebbe del bene, ed è certamente meglio di niente, ma quell’atto, in sè e per sè, non è sufficiente a farci attraversare una crisi con audacia e fiducia. E potremmo facilmente ritrovarci spinti alla disperazione per la tensione impotente che ci provocherà”, fine citazione.
Il segreto per esser pronti alla crisi, per avere il giogo dolce e il carico leggerp è imparare a vivere la vita cristiana continuamente, in modo da aver sviluppato le abitudini, le risorse, le reazioni, il tempismo, le forze, la memoria, la fede, il coraggio spirituale per affrontarla... questo è il punto. Comportarsi come Gesù Cristo è il nostro obiettivo, ma riuscirci non è il risultato di un semplice desiderio, è il risultato della disciplina spirituale quotidiana. Gesù disse in Luca 6:40: “Solo dopo che Egli è stato pienamente preparato l’uomo sarà come il suo maestro”.
Il romanziere Lev Tolstoj una volta scrisse: “Tutta la vita dell’uomo è una continua contraddizione di ciò che sa essere il suo dovere. In ogni ambito della vita egli agisce in aperta opposizione ai dettami della sua coscienza e del suo buon senso”, fine citazione, ora questo è un commento sulla tragedia dell’uomo decaduto: egli non è nemmeno in grado di fare ciò che nella sua natura decaduta ritiene giusto. Fa parte della natura umana decaduta quella di essere debilitati. L’unico modo in cui un cristiano, persino nella sua vita rigenerata, può superare quell’impatto della caduta è tramite la coltivazione di abitudini pie.
E così, carissimi, tutto questo per dire che ciò che Pietro presenta qui ci offre schemi per la vita quotidiana, riassumendo come dobbiamo vivere da credenti. In questo testo ci sono tre punti ai quali voglio attirare la vostra attenzione. La settimana scorsa abbiamo esaminato il punto numero uno: La motivazione. La motivazione si trova nel versetto 7: “la fine di tutte le cose è vicina”, quando dice “fine”, telos, non si riferisce alla cessazione. Non è un’idea cronologica. Non intende la “terminazione”, si riferisce al compimento, il raggiungimento dell’obiettivo, il risultato, lo scopo realizzato, il compimento del destino, e credo che egli abbia in mente il ritorno di Gesù Cristo. La motivazione per una vita santa è quella di vivere in attesa costante del ritorno improvviso di Cristo, abbiamo trascorso tutta la scorsa domenica sera considerando solamente questo punto.
Passiamo al secondo: dalla motivazione derivano anche le istruzioni, le istruzioni. I versetti 7b fino alla prima parte del versetto 11 ci danno le istruzioni per una vita pia: come condurre la nostra vita giorno per giorno in modo da stabilire il tipo di abitudini che vi faranno rimanere saldi nella crisi. Come vivere quel tipo di vita che, pur essendo vero che il costo del discepolato è elevato, quello vi porterà comunque a dire che “il giogo è dolce ed il carico è leggero”, che vi porterà a dire che “i comandamenti di Dio non sono gravosi”, ed ecco i modelli di vita che devono essere stabiliti.
Si dividono in tre categorie: santità personale, amore e servizio. Queste sono le tre dimensioni su cui ci dobbiamo concentrare nella nostra vita cristiana. La prima, la santità personale, ha a che fare con la nostra relazione con Dio e con la Sua Parola rivelata. La seconda, l’amore, ha a che fare con la nostra relazione con il prossimo; la terza, il servizio, esprime di nuovo la responsabilità di adempiere il piano di Dio per noi in termini di ministero all’interno del corpo di Cristo: santità, amore e servizio.
Parliamo della santità. Notate il versetto 7: “Perciò”, dice, “poiché la fine di tutte le cose è vicina, siate moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera”, questo in realtà riassume il concetto della santità. Moderati e sobri per dedicarsi alla preghiera significherebbe che la mia vita è così pura e così giusta che la mia comunione con il Dio vivente e santo non è ostacolata. Che cosa significa quell’affermazione: “siate moderati”? Il termine deriva da una parola che significa salvare ed un’altra che ha a che fare con la mente. E suppongo si possa dedurre che l’idea di base sia quella di tenere la mente al sicuro, di salvare la propria mente, di custodirla, di proteggerla, mantenerla limpida. Un altro modo di esprimere la cosa è quella di fissarla su priorità spirituali, di fissarla su cose sante. Per riprendere in prestito l’affermazione di Paolo ai Colossesi: “Cercate le cose di lassù e non quelle che sono sulla terra”, potrebbe anche significare di non lasciarsi travolgere dall’emozione, di non lasciarsi travolgere dalla passione, potrebbe esser parte del significato. È la stessa parola usata in Marco 5:15, dove si parla del maniaco — ricordate? Quello che Gesù liberò dalla legione di demòni, e lì dice alla fine che era “vestito e sano di mente”, stesso termine. Si trova anche in Romani 12:3, “Non pensate di voi più di quanto convenga; pensate in modo sobrio, di pensare in modo sano, portate la nostra mente, affinchè sia, per così dire: “in cattività alla verità divina”.
E tutto procede dalla mente, la Bibbia dice: “Così come un uomo pensa, così agisce”. Una mente sana, un giudizio sano, riflettono un orientamento santo. Il mondo peccaminoso, ego-indulgente, ingannevole ed influenzato da demoni in cui viviamo è un luogo molto facile in cui perdere la propria mentalità spirituale, non è vero? È un luogo ideale per perdere il proprio equilibrio morale e mentale, e quindi Pietro dice: “siate spiritualmente sani”, che cosa significa? Pensate a Dio, pensate alle cose spirituali, pensate alle cose sante, pensate i pensieri di Dio. Mi riporta indietro ad un versetto che ho imparato da ragazzino, Giosuè 1:8: “Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma medita su di esso giorno e notte, affinché tu abbia cura di fare secondo tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese e allora prospererai”, sin dall’inizio, tornando indietro fino al principio, Dio disse che dobbiamo pensare alla Sua Parola.
Nella lettera ai Filippesi, come abbiamo studiato quell’epistola meravigliosa che abbiamo concluso questa mattina, son certo la ricordiamo bene, al capitolo 4 versetto 8 dice: “Del resto, fratelli, tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onorevole, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è puro, tutto ciò che è amabile, tutto ciò che è di buona fama, se vi è qualche virtù e se vi è qualcosa degno di lode, sia oggetto dei vostri pensieri”. Salvare la propria mente, mantenerla sana, preservarla è vitale per la santità cristiana. Colossesi 3:16 ci dà un altro spunto in proposito, dicendo: “Che la parola di Cristo...” faccia cosa? “Dimori in voi abbondantemente”, questo protegge la nostra mente, la custodisce, la mantiene concentrata su cose pure. Paolo, scrivendo a Tito, ci ricorda che la grazia di Dio è apparsa portando salvezza a tutti gli uomini ed insieme istruendoci a rinnegare l’empietà ed i desideri mondani per vivere in modo sensato, in modo giusto e santo in questo secolo presente.
Carissimi, dovete rendere la vostra mente prigioniera di Cristo, prigioniera della Parola di Dio. La grande caratteristica del sano giudizio, la grande caratteristica di una mente spiritualmente sana, è che vede le cose nelle loro giuste proporzioni, nelle loro priorità, nelle loro giuste prospettive. Vede ciò che è importante. Vede ciò che non lo è. Non è trascinata via da un’emozione improvvisa. Non è travolta da fantasie mutevoli. Non è un fanatismo squilibrato. Non è nemmeno un’insensata indifferenza. E, carissimi, le uniche persone che hanno questo tipo di giudizio sano sono coloro la cui mente, come disse l’autore dell’inno, è “ferma in Te”. Questo è un cristiano posato, è un cristiano equilibrato.
Altre forme di questa parola compaiono nel Nuovo Testamento, una in 1 Timoteo 3:2 tradotta con “savio” o “prudente”, un’altra in 2 Timoteo 1:7 è tradotta con la parola “disciplina” o “padronanza di sé”, un’altra ancora in Tito 2:2, “savio”. E ricordo che appare tre o quattro volte in quello stesso capitolo; avere una mente savia, disciplinata, prudente, padrona di sé. Tutti gli usi di questo termine e dei suoi vari correlati trasmettono l’idea di una disciplina bilanciata, ed ecco che arriva, di un pensiero sotto controllo; o ancora meglio: un pensiero sotto il controllo di Dio. Questo isola il credente dall’esser vittima della tentazione e lo conduce alla santità personale, e quando quella diventa la regola di vita quotidiana, nel momento di crisi, si manifesta la somiglianza a Cristo e la mente è chiave.
Pietro non si ferma solamente lì, guardate di nuovo al versetto 7. Dice: “Siate moderati”, e poi aggiunge, “e sobri”, e questo è un sinonimo, o molto vicino ad un sinonimo, significa fondamentalmente “mantenere la mente lucida”, prendere sul serio le cose serie, essere vigili, essere all’erta. In Matteo 24:42 è tradotto con “Vegliate”. In Matteo 26:40 e 41, “Vegliate”. E potreste unire questi due termini in questo modo: “un buon, chiaro, santo, biblico pensiero porta a vigilanza spirituale, a prontezza spirituale”, porta alla capacità di vedere le cose in prospettiva eterna, in prospettiva divina, e di stabilire risposte adeguate.
E questo è indispensabile, ed è indispensabile ad un elemento molto, molto essenziale della vita cristiana, indicato al versetto 7. Vi prego, arrivate al culmine del pensiero. L’essere moderati e sobri è “in vista della preghiera”, perché? Perché la santità fluisce dalla comunione diretta con un Dio santo. E quando quella comunione è ostacolata da una mente disordinata, da una mente squilibrata, ciò che è più significativo nell’esperienza cristiana si perde. Una mente confusa, una mente ego-centrica, una mente sconvolta dai desideri mondani e da passioni, una mente vittima di emozioni o di impulsi fuori controllo, una mente che è ignorante della verità di Dio, una mente indifferente ai piani di Dio è una mente che non può conoscere la pienezza di una santa comunione in preghiera con Dio. In fin dei conti, portate la vostra mente a quella comunione, non è vero? E dunque, il vostro rapporto con Dio, in un senso molto reale che si esprime proprio in questo fatto della preghiera, è determinato dagli atteggiamenti che portate, atteggiamenti che sono il risultato del vostro pensare. E se volete pregare in modo efficace, e se volete entrare in comunione con Dio in modo profondo e spirituale, allora dovete pensare in modo biblico e spirituale.
Carissimi, questo è così basilare, e tantissimi cristiani oggi, lo sapete bene come lo so io, sono abbagliati dalle fantasie del mondo, travolti e confusi da tutte le sue idee. Il loro modo di pensare è distorto. Sono vittime dei fumi infiniti di Satana. E di conseguenza, la loro comunione con Dio è deformata, ostacolata o persino perduta. E con essa, il potere della preghiera ed una vita potente. Pietro è fortemente preoccupato per questa questione della preghiera. Non solamente qui, ma ricordate il capitolo 3 versetto 7, dove disse che bisogna sistemare il proprio matrimonio affinché le preghiere non siano ostacolate? Per Pietro, questa comunione con Dio era d’importanza centrale. A proposito, il termine “preghiera” è plurale nel testo greco, ed indica un modello di vita ripetuto.
Pietro era un buon esempio di un uomo che sperimentò una vita di preghiera meno che accettabile. Se leggeste Marco 14:37-40, lo scoprireste. Tendeva a scambiare il sonno con la preghiera, se ricordate. La preghiera è il cuore della nostra vita, il cuore della nostra potenza. E non intendo una preghiera formale, intendo una comunione vivente ed incessante con Dio, che nasce dal pensare i pensieri di Dio. Sapete, io trovo, solo come illustrazione personale, trovo che quando sono profondamente coinvolto nello studio della Parola di Dio e la mia mente sta cercando in profondità e distingue le grandi verità su Dio nei momenti di studio, trovo che c’è un flusso di comunione che è inspiegabile, perché sto toccando la mente di Dio, anche se lievemente. Sto toccando il cuore di Dio. E persino in una comunione non espressa a parole, c’è comunque un senso di presenza travolgente. Ciò accade solamente quando le nostre menti formulano giudizi sani e trattano la verità divina in modo sobrio e vigile. Allora la comunione fluisce.
Ve lo dico, la gente mi dice questo continuamente quando vado alle conferenze per pastori: ogni volta che ne abbiamo una, qualcuno – bè, forse ci sono poche eccezioni, non dovrei dire ogni volta – ma di rado è una di quelle occasioni in cui non mi chiedano: “Descrivi qualcosa a riguardo della tua vita di preghiera, qualcosa sulla tua esperienza di preghiera”, al che inevitabilmente rispondo: “I momenti di più profonda comunione con Dio, per me, sono i momenti in cui penso più intensamente i pensieri di Dio”. Mi collego a Lui. E così, più ho la mente di Cristo, più dolce sarà la comunione; più spesso i miei pensieri sono i pensieri di Dio, più frequentemente mi troverò nella Sua comunione.
Così, dice Pietro, la vita cristiana, riassunta, è semplicemente: pensare i pensieri di Dio. Cosa significa? Significa stare ogni giorno nella Parola di Dio, ogni giorno meditare, pensare, assorbire, tirar fuori, imparare a pensare i pensieri di Dio. Come dico spesso, dovrebbe accadere che siate così profondamente ricolmi della Scrittura, che le vostre reazioni involontarie siano pie perché siete così controllati, e poi viene la dolcezza della comunione, e di conseguenza la preghiera efficace e poi la potenza. Questo è il legame verticale nella vita cristiana.
E poi di nuovo, con il genio dello Spirito Santo, arriviamo al legame orizzontale. La seconda area di cui Pietro si occupa in questa materia d’istruzione riguarda l’amore e non credo si possa dire molto di più sull’amore che non sia già stato detto mille volte, e non voglio insistere sulla questione, ma desidero sottolineare ciò che dice Pietro. Guardate al versetto 8: “Soprattutto, mantenete un amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una moltitudine di peccati. Siate ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorii”, e qui Pietro passa dall’aspetto verticale del vivere una vita santa davanti a Dio all’aspetto orizzontale del vivere una vita d’amore davanti agli uomini. Ed è principalmente preoccupato per le relazioni con altri cristiani. Voi potreste chiedere: “Be’, non è forse preoccupato per l’evangelizzazione?” Sì, ma ricordate le parole di Gesù: se ci amiamo gli uni gli altri, da questo tutti gli uomini sapranno che siamo Suoi, cosa? Discepoli; quella è il contenuto della nostra testimonianza.
E così, Pietro ci introduce di nuovo a questa questione dell’amare. È una parola essenziale e notate l’importanza che gli attribuisce. Al versetto 8 dice: “Soprattutto”, ovvero al primo posto in importanza, in termini di relazioni, c’è l’amore. Dopo che avete rafforzato la vostra relazione con il Signore sviluppando momenti intensi di studio della Parola di Dio e di comunione con il Signore in modo da pensare con una mente biblica e un atteggiamento spirituale, avendo una vita di preghiera fluida con Dio che vi prepara a qualsiasi crisi, allora la vostra prima preoccupazione dovrebbe essere rivolta a coloro che vi circondano, per mantenere fervente il vostro amore gli uni per gli altri.
C’è una ricchezza straordinaria in questo termine. Suona molto simile alle parole di Paolo in Colossesi 3:14: “Al di sopra di tutte queste cose rivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione”, Paolo, in Filippesi 2, dice di amare tutti allo stesso modo. Il verbo qui, a proposito, è un participio, e modifica i verbi del versetto 7. È come dire che se siete sani di mente, sobri di spirito e godete di una dolce comunione con Dio, allora, guardando a dove ciò dovrebbe fluire, la prima cosa dovrebbe essere mantenere il vostro amore fervente. Questo è un corollario a una mente e a uno spirito biblicamente equilibrati. Amo la parola “fervente”, ektenēs, perché è un termine anatomico. Significa “esser stirati”, “essere tesi”, ed è usato di un corridore che corre al massimo sforzo, con muscoli tesi che si allungano fino al limite. È usato in alcune letterature extra-bibliche per descrivere un cavallo che tende i grandi muscoli correndo alla massima velocità. Significa “intenso, faticoso, cercare di arrivare il più lontano possibile, fino al limite della propria capacità”.
Non è, tra l’altro, la prima volta che Pietro lo usa, tornando al capitolo 1, ricordate il versetto 22? “Avendo purificato le anime vostre con l’ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amore fraterno”, in altre parole, dato che siete diventati cristiani e che essere cristiani significa amare i fratelli, “amatevi intensamente di vero cuore, poiché siete stati rigenerati”, dice. Ed è come se stesse dicendo: ora che siete cristiani e siete stati rigenerati, la reazione ovvia è quella d’amarvi gli uni gli altri, e amarvi non in modo superficiale, non marginale, non minimo, ma con un amore stirato e teso, con intensità. Questa è una verità cristiana fondamentale. Non sta invocando una sorta di sentimentalismo sdolcinato che alcuni definirono come “sloppy agapē” (agape superficiale). Sta parlando di un amore esigente. Sta parlando di un amore intenso. Sta parlando di un amore sacrificale.
Voi potreste chiedere: “Be’, come faccio a stirarmi? Come faccio a diventare intenso? Come faccio a tendermi?” E la risposta è oltrepassando le barriere dell’emozione umana. Cioè amare il non amabile, l’irrecuperabile, amare i propri nemici, amare coloro che non vi hanno trattato bene, amare quando non sembra razionale, non sembra ragionevole, amare fino al punto di sacrificio in cui vi costa qualcosa, vi costa molto, magari vi costa anche tutto. Il tipo di amore che richiede tutti i vostri muscolo spirituale, tendendovi per amare l’inguaribile non amabile nonostante l’insulto, nonostante il danno, nonostante il rifiuto, nonostante il trattamento scortese, nonostante il trattamento ostile, nonostante il giudizio errato, il maltrattamento e la falsa rappresentazione di voi stessi.
Questo è amore fervente. È il tipo di amore che, credo, sia meravigliosamente definito in 1 Corinzi capitolo 13 e conosciamo tutti quel grande testo, ma lasciate che ve lo ricordi: “L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta e non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non si irrita, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa e non verrà mai meno”, può sopportare qualunque cosa, da chiunque, in qualunque momento. Crede il meglio. Spera il meglio. Sopporta il peggio e non fallisce mai”, può ricevere qualsiasi cosa da qualsiasi cosa o da chiunque, crede il meglio...
E perché mai dovremmo amarci in questo modo? Vi dirò io perché. Ascoltate con molta attenzione. Il versetto 8 dice: “Perché l’amore copre una moltitudine di peccati”, e ve lo devo dire, carissimi, se mai arriviamo, come chiesa, a correre qua e là punzecchiandoci a vicenda a motivo dei nostri peccati, saremo rovinati. Non siamo perfetti e, finché saremo in questa carne decaduta, peccheremo, e l’unica cosa che riesce a scavalcare tutto questo e a tenerci uniti è l’amore. L’amore è sempre in grado di nascondere, kalýptō. L’amore nasconde sempre una moltitudine di peccati, questa è la sua natura. Per dirlo semplicemente, l’amore perdona, e perdona, e perdona, e perdona, e perdona. E se non lo abbiamo nella chiesa, siamo in guai seri.
Pietro, pensando d’essere arrivato ad un punto di maturità spirituale e di essere più magnanimo di chiunque potesse immaginare, disse al Signore: “Quante volte dobbiamo perdonare, 7?” E senza dubbio si compiaceva di se stesso per la propria generosità, perché il Talmud ne indicava 3. Pensate a quanto fosse andato oltre. Ed il Signore disse: “Pietro, che ne dici di 70 volte 7?” Perché l’amore copre una moltitudine di peccati e, carissimi, noi siamo peccatori ed abbiamo bisogno di qualcosa che li copra, giusto? A proposito, quella dichiarazione Pietro la prese in prestito. L’ha presa da Proverbi 10:12: “L’odio provoca liti, ma l’amore copre ogni colpa”, il tempo presente qui, credo, indica ciò che è costantemente vero, è un assioma, una verità evidente di per sé. L’amore, per natura, nasconde sempre una moltitudine di peccati, perdona, e perdona, e perdona, e perdona, ed il grande, grandissimo modello di tutto ciò è Dio. Perché Dio ci ha mostrato misericordia? Perché Dio ha perdonato i nostri peccati? Efesini 2:4-5 dice: “Per il grande amore con il quale ci ha amati”, è vero di Dio, ed è vero di noi stessi.
Nel corso degli anni i commentatori hanno discusso su quella dichiarazione: “L’amore copre una moltitudine di peccati”, ed alcuni hanno detto che si riferisce a Dio, e all’amore di Dio che copre il nostro peccato. Altri hanno detto: “No, si riferisce a noi, che copriamo i peccati gli uni degli altri perché ci amiamo”, ed io credo che la risposta sia molto semplice: è un assioma, si riferisce semplicemente all’amore, alla vera agápē, all’autentico amore spirituale e volontario. Che provenga da Dio verso l’uomo o da cristiano a cristiano, coprirà il peccato; è assiomatico, è evidente di per sé, è la natura di quell’amore. E l’unico modo per cui potevamo essere salvati è che Dio ha tanto amato il mondo. E solo l’amore poteva coprire i nostri peccati, “E mentre eravamo ancora peccatori”, dice Paolo ai Romani, “Cristo è morto per noi”. Perché? Perché ci ha amati. E solo mentre ci amiamo gli uni gli altri possiamo coprire i peccati.
Carissimi, questo è il cuore della chiesa. A dir la verità, se ci occupassimo di questo, adempiremmo a tutta la legge. Non è forse vero? L’intera legge. Potete di nuovo vedere il genio dello Spirito di Dio: in poche parole, dice così tanto. Volete coprire l’intera dimensione del vivere davanti a Dio? Acquisite una mente biblica, una mente spirituale, siate profondi nella vostra comunione con Cristo ed avrete una vita potente. Volete sapere come funzionare nella complessità della chiesa? Siate così pieni di amore traboccante da coprire il peccato. E questo, a proposito, non esclude la disciplina di un membro impenitente, di cui parlano anche altri testi. Ma persino nella chiesa, siamo, credo, molto più ansiosi di evidenziare il peccato piuttosto che di coprirlo. L’odio provoca contese. L’egoismo provoca contese. L’egocentrismo provoca contese. L’amore nasconde il peccato. L’amore lo occulta. L’amore lo sorvola in silenzio. E che trasformazione porterebbe alla chiesa! È ciò che si trova alla base di tutte le nostre relazioni spirituali. È un mondo complesso, non è vero? Ma non ci sono soluzioni complesse, bensì soluzioni semplici. Non semplici da mettere in pratica, ma semplici da enunciare, e realizzabili solamente nella potenza dello Spirito.
Pietro va un passo oltre in questa questione dell’amore. Al versetto 9 afferma: “Siate ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorii”, e la parola qui significa “amare gli estranei”. Deve aggiungerlo perché tendiamo ad amare i nostri amici e tendiamo prontamente a coprire i peccati dei nostri amici, e quindi dice: “Potreste per favore estendere questo anche agli estranei? Sareste affettuosi verso gli estranei?” Qui, ne sono certo, ha in mente un tipo di amore spirituale che copre. Ma non solo: ha anche in mente l’aprire i nostri cuori e le nostre case a chi è nel bisogno, perché l’amore è intensamente pratico. E se ci fosse solamente il versetto 8, potremmo pensare che si trattasse soltanto di un sentimento emotivo, e così egli lo rende molto più pratico.
E quando usa il termine “ospitalità”, sta semplicemente dicendo: “amate gli estranei in modo pratico”. Molti hanno associato questa parola all’apertura della propria casa. Chiunque studi il contesto del Nuovo Testamento sa che i cristiani itineranti, i ministri ed i predicatori in viaggio non potevano fermarsi nelle locande di quell’epoca, che erano poco più che case di dubbia reputazione. I primi cristiani probabilmente non sarebbero potuti sopravvivere se non ci fosse stata l’ospitalità offerta dalla chiesa, però c’è di più. Certo, questo ne fa parte: aprite le vostre case, accogliete qualcuno. E mi piace quello che dice Ebrei: “Badate di non trascurare l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”, un ricordo di molto tempo fa in Genesi, quando Dio e un paio di angeli visitarono Abraamo e Sara. L’ospitalità era comandata in Esodo 22:21, Deuteronomio 14:28-29, e certamente, Gesù ha sottolineato l’importanza di dare un bicchiere d’acqua fredda al più piccolo dei Suoi, nel Suo nome. Ed in Luca 14 c’è anche la chiamata di Cristo ad uscire per le strade e chiamare i poveri, i ciechi, gli zoppi e portarli a casa per dar loro da mangiare. E Dio onora certamente questo genere di sacrifici, però lo spirito complessivo di tutto questo è più grande del semplice offrire un pasto ed aprire una porta; consiste nell’abbracciare il fatto che dobbiamo amare persone al di fuori della nostra cerchia normale, e farlo senza brontolare, senza mormorare, senza rancore, senza quella che io chiamo la mentalità del “Povero Richard Almanac”. Il “Povero Richard’s Almanac” dice: “Pesci ed ospiti puzzano dopo tre giorni”. Deve esserci un’ospitalità generosa verso coloro che non conosciamo, un’apertura del nostro cuore nei loro confronti.
Qual è, dunque, il dovere del cristiano in un mondo ostile? È perseguire la santità di Dio, perseguire l’amore verso gli altri così da poter coprire i loro peccati, così da soddisfare i loro bisogni, siano essi amici o estranei e l’ultima area di dovere la lasciamo per la prossima volta. Inchiniamoci insieme in preghiera.
Padre, Ti ringraziamo ancora stasera per questa grande parola rivolta a noi. E Signore, vogliamo non essere come il bambino che desidera essere qualcuno, e suppone che forse desiderarlo lo farà accadere. Possiamo avere pensieri più maturi di quelli, sapendo che inizia con il desiderio. Giunge a compimento attraverso il perseguimento quotidiano dei comandamenti che Tu hai stabilito per noi. Possiamo sapere che l’unico modo per essere pronti alla crisi, l’unico modo affinché il giogo diventi lieve e il carico leggero, l’unico modo affinché l’alto costo del discepolato possa diventare gioioso, è essere preparati ad affrontare l’ora inevitabile della prova che mette alla prova la nostra fede. E così, aiutaci, Signore, a perseguire la santità, a perseguire l’amore come ci è stato comandato, affinché possiamo davvero, fedelmente, adempiere quella chiamata a cui siamo stati chiamati. E Ti lodiamo per la grazia abilitante dello Spirito di Dio nel nome di Tuo Figlio. Amen.
FINE

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